2. La "Cort del Bene-bene"

Storia critica dei processi di trasformazione attraverso la modernità dei luoghi in cui sono nato e di cui ho assitito alla loro perdita di identità.

Questa mia nuova ricerca muove dal fatto che in quella precedente n. 1 il tema della descrizione dei luoghi materiali, in cui sono nato e parzialmente vissuto, stavano acquisendo eccessiva importanza in relazione al tema iniziale "I miei lari e penati".

Pertanto mi è parsa doverosa una trattazione separata e tutta dedicata allo stesso. Le mie competenze acquisite in decenni di professione e di insegnamento universitario forse mi legittimano e mi sento di dire che forse mi possono guidare in questo compito, che reputo necessario, utile sotto il profilo propedeutico e, per molti versi, civilmente doveroso. Non è critica feroce, bensì pacata e, ad ogni istante, non priva di risposte alternative. Sarebbe pessima politica quella di massacrare gli altri dietro un paventato sapere che odora di "verità", se non sapessimo offrire concrete risposte.

Il tema agitato in questa breve ricerca nata per caso (ma nulla nasce per caso che non abbia albergato nei sentimenti delle persone), mi pare interessante in quanto palestra di confronto su un tema concreto che lo scrivente ha altrettanto concretamente vissuto. La didatticità dell'esperimento credo stia tutta nel fatto che questo discorso si possa rivolgere a molti, sicuramente a tutti coloro che vogliano leggere con un minimo di interesse queste righe. Non è richiesta una conoscenza particolare, bensì un'attenzione particolare, senza la quale non è mai avvenuto nulla di interessante.

Proprio perché io credo di conoscere bene questi luoghi, cercherò di ripercorrere la loro storia sia umana che materiale. In questo blog che, per sua natura è luogo pubblico per definizione, mi permetterò di citare solo alcuni nomi e avvenimenti. Di altre persone e fatti è meglio lasciare perdere. Semmai questi ultimi potrebbero essere gustosi argomenti da salotto privato. E' inevitabile che alcune cose siano destinate a rimanere dormienti nella mente umana, ed il solo piacere di comunicarle agli altri è piatto ambito. Ma tutto non si può dire e, semmai, nei luoghi adatti.

Oggi temi come compatibilità, sostenibilità, preservazione delle preesistenze ambientali e culturali, non ultima la qualità della vita, sono dei luoghi comuni accessibili a qualsiasi mente, salvo poi riscontrare puntualmente il fallimento parziale o totale di ogni politica per infinti motivi, vuoi culturali, tecnico-scientifici, opportunismi vari, di carenza di volontà politica che sfiora l'ignavia e l'esistenza di interessi che marciano all'incontrario del senso dovuto e auspicato.

Su queste cose sarò meno tenero, perché il singolo operatore ha delle responsabilità che spesso, non sempre purtroppo, vengono economicamente riconosciute. Ed è ancora la società a pagare economicamente e non solo. Di chi è la colpa? Non di tutti. Di certo non possiamo attribuire colpe alla gente comune. Essa ha ben altre cose di cui preoccuparsi: degli affanni quotidiani, per esempio.
Il fenomeno è stato studiato ed individuato in una serie di soggetti che partecipano alle scelte che portano alla maturazione di questi risultati: oggi è di moda definirla una "filiera".

Innanzitutto esiste un proprietario che normalmente è impreparato e che spesso fatica a capire proposte alternative che non siano quelle che qua ho cercato di commentare in senso critico. Spessissimo è affannato a sapere che cosa può fare in relazione a ciò che vede o crede di vedere di tutto quello che gli succede attorno.

In seconda battuta c'é Il professionista, e per professionista parlo del progettista laureato che credo di conoscere abbastanza bene. Se dico che ha perso il proprio senso del pudore non mi pare di dire cose troppo lontane dalla verità, nel momento in cui egli ha abbandonato qualsiasi tentativo di approfondimento nello svolgimento della propria professione, e si è fatto trascinare da un operare sciatto, grigio e pervaso di cinismo. Si parla tanto di dignità professionale, ma di chi? Eppure le attenuanti ci sarebbero: una professione non compresa e, quindi, non riconosciuta, socialmente utile ma non necessaria, solo recentemente in parte tutelata dall'indebita intrusione di altre professionalità del tutto o molto estranee alla disciplina, essa oggi si trova divisa tra infinite scale operative ed ambiti disciplinari i cui contorni sono troppo vaghi, spesso sovrapposti e, non di rado, in reciproco conflitto. Parlo di attenuanti generiche, non di irresponsabilità personali. Quest'ultime parlano da sole. E non si tratta tanto di carenza di genialità, di creatività o di altre stravaganze. Qui parlo di vuoti culturali tecnico-scientifici e assenza di una propria moralità, non d'altro. La costatazione del fallimento della formazione di un'intera generazione di professionisti è tangibile presso il mondo accademico dal quale provengo, e non si sa come uscirne.

Per ultimo c'è l'amministratore, spessissimo persona qualunque fino all'atto della sua elezione, al momento del suo concreto operare pare ammantarsi di una dignità che trascende il suo essere umano e che lo colloca al di sopra della mischia, ma non c'è mai stata nessuna carica politico-amministrativa che, da sola, abbia accresciuto le proprie competenze, che non abbia presupposto preparazione, impegno e senso di responsabilità prima e durante il suo svolgimento. Raramente ho visto amministratori circondarsi di persone veramente preparate, quanto meno andare a cercarle. Le persone veramente preparate danno fastidio, perché sono persone difficili da gestire e, quindi, scomode. Più spesso ho assistito alla corsa di posti negli esecutivi senza ragioni di evidente senso del proprio ruolo civico e di adeguatezza della propria dimensione culturale e professionale: E' prassi comune che, ad elezioni avvenute, ci si divida i compiti come i soldati con la tunica del Cristo, per poi completare i ranghi con gli amici di cordata. La risposta, banale quanto irritante, secondo la quale: "A noi va bene così", la dice lunga sulle proprie irresponsabilità, sui propri opportunismi e sulle proprie insufficienze. Alla fine del processo, è sufficiente che si rompa un solo anello di questa catena per invalidare l'intero risultato.

E' opportuno che qui si definiscano sia le ragioni culturali che legislative che hanno portato ad una nuova e diversa attenzione nei confronti delle preesistenze storico ambientali. Il tema centrale di questa ricerca sono i cosiddetti insediamenti di antica origine, i quali vanno ben al di là dei semplici centri storici, per comprendere anche ogni segno materiale dell'uomo all'interno del proprio campo di azione, nel centro abitato come sul territorio.

Come spesso avviene, il mondo reale anticipa il mondo legale. Vale a dire: la società matura nel proprio seno delle istanze e rivendica risposte precise a nuove problematiche o tematiche che dipendano dal loro essere e dalle sensibilità maturate da questa dialettica che talvolta è aspro conflitto. Solamente più tardi, in relazione ai tempi e interessi della politica, il modo politico elabora strumenti legislativi che possono concorrere al rafforzamento culturale e comportamentale della società.

La storia parte da lontano ma non troppo. La frenetica industrializzazione avvenuta nel dopo-guerra, disordinata, caotica e sprecona, di cui solo ora avvertiamo gli effetti deleteri, provocò lacerazioni e compromissioni sul territorio dei quali pagheremo le conseguenze chissà fino a quando. Essa portò con sé squilibri territoriali paurosi, che portarono al quasi totale abbandono di intere aree storicamente popolate e provocarono afflussi oltre le capacità ricettive di quelle in cui si stava sviluppando l'industria manifatturiera e chimica. In questa drammatica realtà, intere popolazioni si mossero alla ricerca di nuove opportunità lavorative. I flussi avvennero, schematicamente, dal sud verso nord, dalla montagna verso le valli abitate e dall'Italia verso l'estero. I relativi insediamenti di cui molti traevano origine precedente alla romanizzazione, vennero quasi del tutto abbandonati e altri, di non meno valore e ricchezza storica, vennero presi d'assalto.

In questo quadro storico, nell'anno 1955, a Gubbio, venne fondata l'ANCSA, acronimo che sta per Associazione Nazionale Centri storici Artistici. L'anno successivo si tenne il primo congresso ad Assisi presieduto dall'allora presidente dell'INU (Istituto Italiano di Urbanistica) prof. Giovanni Astengo, con il quale io ho avuto la fortuna e il piacere di collaborare per diversi anni. Per attendere a una risposta del mondo politico bisognò aspettare l'anno 1978, con l'allora provvedimento relativo al primo piano edilizio quinquennale. Se la politica non si mosse prima, bensì ventitrè anni dopo, è perché a quei tempi era dominata dal blocco storico del capitale in cui troppi interessi avevano il sapore di chi tira indietro. Lo slogan "la terra non si tocca, la proprietà nemmeno" erano facile esca per ritorsioni e ricatti politici. Si è badato ad interessi "di basso ventre", come in altri passaggi tristi della Repubblica.

Nel Trentino, dove la materia urbanistica è competenza primaria ed esclusiva della Provincia Autonoma, si dovette aspettare, come spesso accade, che fosse Roma per prima a muoversi, alla faccia di chi crede ancora alle capacità propulsive di chi amministra l'autonomia. La legge trentina venne emanata il giorno 4 novembre del 1978 e portò il numero 44. Da quel momento succedettero piani comunali, regolamenti vari e norme più o meno chiare. Anche il mondo accademico di adoperò ad approfondire studi e metodiche d'intervento e l'industria edilizia non tardò ad interessarsi di questo fenomeno. Lentamente, la gente comune incominciò a parlare di Centri Storici, di "i ne lassa far e no i ne lassa far". Ben presto incominciarono i sotterfugi e le furbate, perché la conoscenza e coscienza del mondo professionale tardò oltre misura ed è tutt'ora latitante.

E qui, senza dilungarci troppo, siamo ora a leccarci le ferite. Per cui cercherò di mettere assieme ricordi personali non privi del'indispensabile ironia, conoscenze tecnico-scientifiche e memoria collettiva, nell'intento di mettere il lettore nelle condizioni di capire il processo critico, accompagnato da mie ipotesi progettuali, sperando di non averlo stancato troppo.