8. "La Traversara", ovvero l'improbabile storia di una via millenaria.
Contributi per una possibile definizione della via "Traversara" in valle di Non quale via transalpina, a far data almeno con l'occupazione etrusca della valle Padana dal quinto secolo a. C..
Alla memoria del mio caro amico Enzo Leonardi, che fu maestro, in tempi non sospetti, nell'indicarmi l'esistenza di questa strada plurimillenaria.
“Nessuno dovrebbe mai inoltrarsi in campi estranei alla propria competenza; ma la vita è troppo breve per diventare esperti in più di una disciplina (o forse anche di una sola) … Tutto ciò che l’autore può fare per uscire da questo impasse è di far propri i risultati a cui sono laboriosamente giunti gli specialisti." (Richard Krautheimer, o. c., pag. 430)
INTRODUZIONE
Parlare della via Traversara è parlare di strade antiche, di altri tempi. Quali? Di anni indietro, molti. Quanti? Tanti.
Questa è la risposta scontata della popolazione locale del mio paese di origine, Spormaggiore, che chiama la via Traversara Via Romana. E da dove viene questo nome, e da quando? Da sempre. E che cosa vuole dire sempre?
La gente non lo sa e fa spallucce.
In questi ultimi anni il rinnovato interesse per la viabilità storica è di matrice turistica, legata al "provvidenziale" turismo escursionistico, salutista, ecologico ed ecosostenibile. Provvidenziale perché si allontana, per il momento, da quello più propriamente di massa: sprecone di opportunità, invadente, superficiale, "casinista" in una parola e attento più ai selfie narcisistici che ai contenuti degli sfondi che vengono ritratti.
E' pur sempre turismo che crea business e non un vero e proprio interesse per le cose in sé. Ma tant'è che sono gli affari che muovono la storia ed allora siamo qui a parlarne.
Da più parti sento parlare di "via romana" riguardo a un percorso che, in verità, ha sapore di tempi ben più antichi. La storiografia antica e moderna concorda nel dire che la romanizzazione della valle di Non fosse iniziata con l'arrivo delle legioni dal Basso Sarca, passando per il passo di Andalo. Questo dato è più che verosimile, anche perché alla Rocchetta di ponti non ne esistevano. Ma il dato più evidente è il riconoscimento che la piana del Basso Sarca -"la Busa" per intenderci- fu zona di elezione antica della romanizzazione e non solo. Le ragioni sono solide: tutte queste terre, compresa la valle dei Laghi fino a Vezzano, nonché tutte le valli Giudicarie, furono aggregate al Municipium di Brixia sin dal tempo della sua costituzione (I secolo a. C.). Una traccia rimane nella parlata della gente, almeno nelle valli Giudicarie, di origine lombarda e con evidenti sostrati celtici.
Ora, nel rinnovato interesse per questa strada, mi preme consegnare al pubblico, in maniera ordinata, alcune deduzioni che mi stanno a cuore da sempre, almeno da quando intraprendemmo con il compianto amico Enzo Leonardi delle proficue discussioni in merito nei già lontani anni Ottanta del secolo scorso. L'occasione fu la stesura di una delle sue preziose pubblicazioni riguardo alla viabilità locale: Anaunia, un secolo di strade e di tranvie, Temi Editore 1988. L'obiettivo di questo mio lavoro riguarda cercare di dimostrare, con argomentazioni penso esaurienti, la preesistenza di questa via in periodi pre-romani, alla luce soprattutto delle deduzioni che dagli anni '90 in poi si sono succedute in ambito archeologico locale. Il mio tentativo si limita al periodo etrusco legato all'utilizzo di questa via a seguito dello sfruttamento delle vie fluviali e lacustri del sistema Mincio-Garda. Ricordo la disputa molto civile riguardo al tracciato che io contribuii a delineare in merito ad alcune interpretazioni personali. In questo lavoro non mancherò di dare spiegazioni esaurienti.
Ma le cose potrebbero andare ben oltre. Werner Betzing, studioso germanico delle Alpi in senso generale, nel suo monumentale lavoro Le Alpi, Una regione unica al centro dell'Europa, Bollati Boringhieri, cita, senza elencarle, almeno sessanta vie dell'ambra. Erano piste mulattiere che attraversavano le Alpi e collegavano il Sud di esse con il Nord. Del resto, prodotti mediterranei quali l'ossidiana delle isole Eolie e prodotti di marcata produzione greca e greco-estrusca sono stati rinvenuti nel Mar Baltico. Per non parlare del trasporto del minerale stagno senza del quale non è possibile definire periodi preistorici che vanno dal bronzo antico al bronzo finale. Poi bisognerebbe aggiungere l’ambra del nord, oggetto di vera venerazione, materiale di scambio di oggetti provenienti da altrove; infine bisognerebbe non dimenticare il salgemma per la conservazione dei cibi, senza il quale l'uomo storico e preistorico nulla avrebbero potuto contro i rigori dell'inverno alpino.
Ma questa è un'altra storia della quale lascio ad altri il compito ed il piacere di approfondire.
Mezzolombardo, 25 ottobre 2017


1 ARCHEOLOGIA: DEFINIZIONE E LIMITI
L'archeologia (dal greco ἀρχαιολογία, composto dalle parole ἀρχαῖος, antico, e λόγος, discorso o studio) è la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l'ambiente circostante mediante la raccolta, la documentazione e l'analisi delle tracce materiali che hanno lasciato (insediamenti in genere, architetture, manufatti, resti biologici e umani).
Venne definita in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte.
là dove la storia tace o semplicemente balbetta, l'archeologia è costretta a cavarsela con le proprie mani. Ma da sola è la pallida idea di ciò che un reperto potrebbe raccontare di sé stesso, perché la storia è fatta di nomi e date che raccontano fatti di persone e luoghi. E poiché la macchina della storia non è stata ancora inventata e non è all'orizzonte come e quando ciò avverrà, se mai avverrà, non resta che prendere atto del reperto e costruirci sopra delle ipotesi congetturali, ancorché ponderate. In questa maniera si spiega il termine "improbabile storia" riportato nel titolo.
Ma già abbiamo detto -e lo ripeteremo ancora- dell'imperizia di chi scrive in materia di archeologia; pur tuttavia insistiamo in questa direzione perché siamo convinti di un fatto: che gli archeologi si trovino "ghettizzati" nelle loro trincee di scavo, mentre invece chi scrive può volare libero e alto, forte della propria presunzione ed incoscienza. Vediamo che cosa ne può uscire.
2 LA MEZZALUNA FERTILE, OVVERO LA NASCITA DELLA CIVILTA’
In una ricerca tutta improntata sulla ricostruzione di una via storica (meglio sarebbe dire protostorica) quale la nostra Traversara, che noi definiamo insistere lungo il territorio che collega l’antica Riva del Garda fino a Merano, parallelamente al fiume Adige, iniziare detto racconto citando la Mezzaluna Fertile sembrerebbe avere perso la bussola del tempo e della geografia, alla peggio aver preso un colpo di sole. E se ciò può sembrare tale, allora va adeguatamente e immediatamente spiegato. La tesi che qui cerchiamo di sviluppare, con l’aiuto di autorevoli acquisizioni pervenuteci in questo ultimo quarto di secolo dal mondo dell’archeologia, riguarda il fatto che delle popolazioni -gli Etruschi- dedite alla produzione di oggetti di alta qualità artigianale ed avvezze alla loro commercializzazione ad alto raggio, siano state quelle forze che hanno innescato dinamiche tali da permettere la strutturazione di una significativa porzione di territorio alpino oggetto di studio da parte nostra; e per strutturazione non intendiamo solamente la realizzazione o riorganizzazione di una via-pista che lo attraversa, ma anche l’aggregazione attorno ad essa di approdi, villaggi, guadi e caravanserragli, che hanno riverberato e rilanciato, nel tempo, culture materiali -e non solo- provenienti da luoghi lontani. Quali?
Prima di arrivare a parlare degli Etruschi e della loro formazione in quanto società organizzata e depositaria di una cultura solida e accertata archeologicamente, preme definire l’origine di questa cultura che tanto ha permeato detta civiltà e non solo. Come vedremo più avanti, la formazione della civiltà etrusca è la diretta conseguenza della capacità delle popolazioni preesistenti ad essa di reagire positivamente alla frequentazione del loro territorio da parte di mercanti e coloni-mercanti provenienti dal mar Egeo e dalle terre che lo contornano e definiscono, i quali cedettero loro il proprio modo di vivere: sicuramente quello di produrre e, in parte, quello di scrivere e anche di pensare e credere.
Ma per parlare adeguatamente del mondo egeo e relativa civiltà, prima dovremo fare tappa nel territorio che oggi porta il nome di Palestina. Bisognerà capire che cosa questa striscia di terra produsse attorno all’anno mille a. C. e che cosa trasmise ad altri, permettendo l’esplosione a grappolo di innumerevoli civiltà affacciate attorno alle sponde del mar Mediterraneo. La cultura retica, il cui territorio non insiste sulle sponde di questo mare, è, di conseguenza, uno degli ultimi prodotti di questa onda lunga, il cui epicentro è localizzato proprio in questo luogo dell’Asia Minore.
Ciò che oggi noi chiamiamo Palestina corrisponde a quella striscia di terra lunga attorno ai duecento chilometri e più e avente una profondità media di settanta. Stretta ad ovest dal mare Mediterraneo e ad est delimitata dal sistema idrico del lago Tiberiade-fiume Giordano-mar Morto, essa confina a nord con la Siria, che è il bacino idrico dei fiumi Tigri ed Eufrate, mentre a sud confina con il deserto del Sinai, il quale, a sua volta, è la porta verso l’altro imponente sistema fluviale del Nilo. Visti tutti quanti assieme, dall’alto, questi territori, fecondati dalle acque di questi fiumi, prendono una configurazione a forma di Mezzaluna, in quanto la valle del fiume Nilo si raccorda con l’alto bacino del fiume Tigri e l’ Eufrate proprio attraverso la Palestina per poi piegare verso il golfo Persico attraverso la Mesopotamia dell’attuale Iraq. Mezzaluna fertile è il suo nome perché questi territori lo furono davvero e, in parte, lo sono tutt’ora; il resto è puro deserto. E proprio la loro fertilità fu la ragione prima che permise lo sviluppo di civiltà grandiose alle quale il mondo intero è debitore. In queste terre, attorno al terzo-secondo millennio a. C., nacquero le città pianificate e realizzate da mirabili palazzi i cui resti arricchiscono i musei di mezzo mondo. In queste città nacque l’agricoltura pianificata mediante canali irrigui, venne inventato l’uso della moneta e la prima forma di scrittura, benché davvero complicata e volutamente esoterica, ad uso esclusivo delle caste di palazzo.
La Palestina, così, risulta essere il collo di una enorme clessidra lungo il quale passarono tutte le tensioni, flussi e riflussi delle civiltà che si svilupparono lungo i tre grandi fiumi sopra menzionati. Quando i regni nilotici decisero di allargarsi verso nord, si videro costretti ad attraversare il collo della clessidra alla ricerca di gloria militare. Quando l’Egitto andò in crisi, la clessidra si rovesciò e furono le armate delle civiltà assire ad invadere il Sinai, sempre attraverso la Palestina, la quale finì per farne sempre le spese. Per capire il tormento di questa terra è sufficiente leggere nei ventisei strati della Megiddo archeologica le tragedie di una impossibile pace, quasi terribile presagio delle difficoltà attuali.
Però ci fu un periodo durante il quale i due sistemi contendenti, quello egizio e quello assiro-babilonese, entrarono in crisi quasi simultaneamente; ciò permise l’esplosione di culture locali del “collo della clessidra” e anche lungo le coste del mare più in su, che liberarono energie represse insospettabili; e nacque la civiltà fenicia assieme al regno di Israele: e questa è già storia. Lo è a causa di una invenzione tutta fenicia che riguarda una maniera semplificata di scrivere, meno eteroclita di quella assira: per l’appunto la scrittura fenicia costituita da alcune manciate di caratteri consonanti –ventidue- i quali, uniti e combinati fra di loro in sillabe, permisero l’invenzione di uno strumento tutt’altro che esoterico, soprattutto disponibile a chi ne avesse bisogno ai fini di comunicare i propri sentimenti ma, soprattutto, per fare i propri conti e farli bene: esso si può definire la prima scrittura fonetica della storia dell’umanità. Per contro, e con relative modeste differenze, da una costola della scrittura fenicia nacque la scrittura aramaica, la quale, attraverso la Bibbia, ci ha trasmesso questi fatti e molti altri ancora. Ma tutto ciò non durò molto. Quando uno dei contendenti di cui sopra si riprese, prima i Fenici e poi gli Ebrei e il loro tempio vennero cancellati dalla storia e dalla geografia e di essi non si parlò più. Ma nel frattempo le uova erano state deposte, ad altri il compito di covarle.
I Fenici furono delle popolazioni che si organizzarono in città stato rivierasche, perché le loro risorse furono principalmente la produzione di manufatti pregiati e la loro commercializzazione venne promossa via mare. Imparando a decifrare i venti stagionali, essi riuscirono a progettare rotte marine che li portarono fino alle Colonne d’Ercole e più oltre. Ciò permise di istituire relazioni con buona parte delle popolazioni che si affacciavano sul mare Mediterraneo, costituendo fondaci ed empori commerciali che con il tempo acquisirono la dimensione di colonie stabili se non delle vere e proprie città stato: una per tutte, Cartagine.
Ma appena messi fuori i piedi da casa loro, subito incominciarono i problemi. Per un fenomeno complesso ancora oggi oggetto di studio, non solo legato al soprannumero demografico, ma probabilmente a seguito anche di profonde trasformazioni sociali legate all’uso della terra coltivabile, delle popolazioni che occupavano i territori che oggi chiamiamo Grecia, isole comprese, incominciarono a prendere la via del mare e a creare piccole colonie. Così i Fenici si trovarono, durante i secoli IX, VIII e VII a. C., a dover lottare con una concorrenza da parte di vicini di casa che li avevano debitamente studiati, i quali non solo si impossessarono delle loro tecniche di produzione e della loro tecnica di navigazione ma, soprattutto, anche della loro scrittura che provvidero a migliorare semplificandola. Così nacque la civiltà greca con la sua scrittura rivoluzionaria, che permise al più semplice mercante ed artigiano di leggere, scrivere e far di conto. Fu sufficiente aggiungere cinque lettere che esprimessero il suono delle vocali perché ciò permettesse a questo strumento –che solo ora possiamo chiamare alfabeto- di essere davvero uno strumento duttile e alla portata di tutte quelle popolazioni e di tutte quelle lingue che ne vollero fare uso.
Al di là di questi fatti, i Fenici dovettero scendere a patti con questa formidabile popolazioni di coloni agricoltori-artigiani-mercanti-navigatori; e fu inevitabile che finissero per dividersi il mediterraneo in proprie aree di influenza. Mentre ai Fenici toccò, ed era scontato, data la loro collocazione in ambito geografico, la costa nord dell’Africa, la parte sud della Spagna e la parte ovest delle isole Sicilia, Corsica e Sardegna, i greci, a seconda della loro provenienza, andarono ad occupare prevalentemente le coste nord del Mediterraneo, tutte quelle del mar Nero e la Cirenaica. Così nacque la Magna Grecia e quel sistema fittissimo di relazioni che portarono le lingue greche nel mare Jonio, il quale prenderà il loro nome. Il mare Tirreno, invece, prese il nome da chi già stava stabilmente in quel territorio affacciato sullo specchio del Mediterraneo: gli Etruschi, per l’appunto, dai greci chiamati Tirreni ( Τυρρηνοί in dialetto attico).
E così abbiamo riassunto mille e più anni di storia. E solo ora possiamo incominciare a parlare di questa eccezionale popolazione, incominciando col dire che, dove loro avevano costituito il proprio ambito di influenza, nessuna colonia, ne fenica, né cartaginese e nemmeno greca riuscì a mettere radici. Vediamo perché e come finì.
3 GLI ETRUSCHI
Gli Etruschi furono un popolo dell'Italia antica di origine complessa, affermatosi in un'area denominata Etruria, corrispondente all'incirca alla Toscana, all'Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale. Successivamente si espansero a nord nella zona padana (attuali Emilia-Romagna, Lombardia sud-orientale e parte del Veneto meridionale) e a sud fino in Campania.
La civiltà etrusca ebbe una profonda influenza sulla civiltà romana, fondendosi successivamente con essa al termine del I secolo a. C. Questo lungo processo di conquista e assimilazione culturale ebbe inizio con la data tradizionale della conquista di Veio da parte dei romani nel 396 a. C..
4 GLI ETREUSCHI, UN PROBLEMA STORIOGRAFICO: FORMAZIONE O PROVENIENZA?
L'archeologo Massimo Pallottino (Roma, 1909-1995), nell'introduzione del suo manuale Etruscologia, Milano, 1984, o. c., ha sottolineato come il problema dell'origine della civiltà etrusca non vada incentrato sulla provenienza, quanto piuttosto sulla formazione. Egli evidenziò come, per la maggior parte dei popoli, non solo dell'antichità ma anche del mondo moderno, si parli sempre di formazione, mentre per gli Etruschi ci si è posti il problema della provenienza. Secondo Pallottino, la civiltà etrusca si formò in un luogo che non può che essere quello dell'antica Etruria; alla sua formazione contribuirono indubbiamente elementi autoctoni (i Villanoviani) ed elementi orientali (non solamente Lidii o Anatolici) e greci, per via dei contatti di scambio commerciale intrattenuti dagli Etruschi con gli altri popoli del Mediterraneo a far data dall'VIII secolo a. C..
In buona parte tutto ciò dipese dalla grande disponibilità del minerale ferro nelle miniere dell'isola d'Elba e dalla sua vicinanza alle rotte marine che facilitavano e permettevano i trasporti a grande distanza. La disponibilità di detto materiale vicino alle coste marine lo rendeva economicamente imbattibile rispetto ad altri giacimenti dell'entroterra attorno al bacino del Mediterraneo. La loro abilità consistette anche nel difendere materialmente questi giacimenti dalle mire di chi veniva da fuori. Per raggiungere questo obiettivo, dovettero dotarsi di una potente marineria diventando, di fatto, una temibile talassocrazia. Con questo termine si intende il dominio militare e commerciale esercitato da una determinata entità politica, in questo caso gli Etruschi, di uno spazio marittimo e dei territori in esso contenuti o che su di esso si affacciano: l'Etruria e il mar Tirreno. Colpisce infatti, guardando una qualsiasi cartina geografica del Mediterraneo, il fatto che lungo le coste dominate dagli etruschi non compaiano colonie né greche, né fenice e nemmeno cartaginesi, anche se di questo abbiamo già parlato più sopra.
Ciò favorì e permise grandi trasformazioni sociali all'interno della popolazione, passando dall'iniziale società tribale dei Villanoviani, raggruppata in villaggi indifesi in riva ai fiumi, a vere e proprie città-stato urbanisticamente organizzate e arroccate sui colli. La famosa dodecapoli estrusca era un insieme di grandi città murate federate tra di loro che, all'occorrenza, armavano e finanziavano delle navi per le attività di guerra sul mare. Nacque così una ricca borghesia urbana dedita all'estrazione e lavorazione del ferro, alla produzione artigianale di qualità e alla loro commercializzazione. Le ricche tombe nelle necropoli attestano, a distanza di duemila e più anni, di questo straordinario sviluppo culturale ed economico.
Nella civiltà etrusca che andava formandosi lasciarono quindi la propria impronta i commercianti orientali e i coloni greci che approdarono nel Meridione d'Italia nell'VIII secolo a.C. : si pensi agli elementi orientali nella lingua etrusca o al periodo artistico cosiddetto orientalizzante. L'alfabeto stesso adottato dagli Etruschi è chiaramente un alfabeto di matrice greca, più precisamente proveniente dall'isola di Rodi, trasmesso da artigiani rodii dagli insediamenti sull'isola d'Ischia, così come l'arte etrusca è influenzata dai modelli artistici dell'arte greca.
5 L'ESPANSIONISMO GRECO DEI FOCEI NEL MAR MEDITERRANEO OCCIDENTALE VERSO LA META' DEL VI SECOLO a. C. E I RAPPORTI CON I PUNICI ED ETRUSCHI
Il periodo a cavallo tra il VII e il VI secolo a. C. assistete al consolidarsi dell'egemonia focea (dalla città di Focea, nell'estremità ovest dell'Anatolia) nelle rotte del Mediterraneo occidentale e dell'Atlantico, fin oltre le colonne d'Ercole ed il regno tartessico di Argantonio. Erodoto ci informa che i Focei furono i primi tra gli Elleni a sperimentare le lunghe rotte fino all'Oceano atlantico. Il loro successo fu dovuto alla sostituzione delle rotonde navi mercantili, le cui rotte erano fortemente condizionate dai venti, con le più agili e filanti navi da guerra, le pentecontere, che, alla forza dei venti, aggiungevano la spinta di una cinquantina di rematori, potendo poi dispiegare, all'occorrenza, tutto il loro potenziale offensivo necessario a far fronte ad avversità esterne, anche di origine piratesca.
Intorno al 600 a. C. vi fu la fondazione della colonia di Massalia (l’attuale Marsiglia). Sembra tuttavia che i rapporti con gli Etruschi in questa prima fase si mantenessero pacifici. Intorno al 565-563 a. C. i Focei avevano rafforzato la loro posizione con la creazione di un emporio coloniale presso Alalia, occupando un sito strategico posto sulla costa orientale tirrenica della Corsica, in diretta concorrenza con gli scali marittimi della costa etrusca. Si trattava, a seconda delle diverse letture che si conoscono del passaggio erodoteo, di una ripresa in mano, o di un restauro di un loro preesistente insediamento. Ma nemmeno quest'ultimo evento compromise i rapporti con gli Etruschi, probabilmente perché la fondazione dell'emporio non dovette interferire sui preesistenti traffici commerciali etruschi diretti agli sbocchi mercantili presso la valle del Rodano.
Diversa era la situazione dei rapporti con i Fenici che, in concorrenza con i Focei sulle rotte occidentali e nel Tirreno, furono spinti ad annettersi Ibiza e a stabilirvi una colonia intorno al 540 a. C.. Si riprodusse così una tipica dinamica dell'irradiazione dei Fenici che, dalle iniziali morbide frequentazioni finalizzate al commercio, si videro costretti a compiere dei salti di qualità, orientandosi verso forme durature di insediamento, in reazione al più pervasivo colonialismo greco improntato all'occupazione e all'utilizzo stabile del territorio. Tutta la storia dell'espansione progressiva della talassocrazia fenicia fu segnata dal passaggio tra questi due momenti, da forme di «colonialismo informale» a un «colonialismo riluttante».
Successivamente, incalzati dai Persiani di Ciro il Grande, i Focei abbandonarono la città d'origine, andando a rinfoltire, intorno al 545 a. C. o poco dopo, l'emporio di Alalia. La portata di questo movimento fu notevole: l'inserimento dei profughi anatolici segnò la trasformazione di un insediamento commerciale in una vera e propria città, assumendo il significato di un atto di fondazione.
6 LA BATTAGLIA DEL MARE SARDO O DI ALALIA
La battaglia del mare Sardo o, come è più impropriamente chiamata battaglia di Alalia, fu uno scontro navale che si svolse tra i profughi greci di Focea stanziatisi ad Alalia, come abbiamo visto precedentemente, e una coalizione di Cartaginesi ed Etruschi. Ebbe come teatro il mar Tirreno, presumibilmente tra la Corsica e la Sardegna, in una data che la storiografia colloca tra il 541 e il 535 a. C., con una probabile preferenza per la datazione più bassa.
A determinare la svolta conflittuale nei preesistenti rapporti fra i tre popoli fu la crescente pressione coloniale e commerciale esercitata dai Focei sul Mediterraneo occidentale e sul Tirreno.
Nonostante la vittoria ottenuta a caro prezzo dai Focei d'occidente, secondo la definizione di Erodoto, la battaglia si risolse in una pluridecennale battuta d'arresto per l'espansione mercantile greca nel Mediterraneo occidentale, favorendo la loro sostituzione con il commercio etrusco.
I rapporti privilegiati che gli Etruschi stabilirono con l'area celtica dell'Europa centrale svolsero poi un ruolo determinante nel condizionare la fase evolutiva e la fioritura che la civiltà celtica stava attraversando, a cavallo tra il VI e il V secolo a. C., nel passaggio dalla facies hallstattiana alla successiva cultura lateniana. Le loro frequentazioni delle popolazioni dell'arco alpino e oltre (Liguri, Camuni, Reti, Veneti ed altri), comportò per quest'ultimi un notevole arricchimento nel senso di una loro evoluzione verso forme di cultura decisamente mediterranea e più propriamente etrusca. Proprio questo fenomeno risulta essere centrale rispetto agli obiettivi della presente ricerca. Basti accennare all'alfabeto etrusco, la cui origine greca dei Rodi transiterà nell'alfabeto camuno riscontrabile tutt'oggi nei graffiti delle valli bresciane. Altresì dicasi per l'alfabeto retico di nostro diretto interesse. Da aggiungere che la scrittura runnica delle popolazioni al nord delle Alpi combacia perfettamente con quella camuna. Ma, prima di arrivare a tanto, dobbiamo spiegare alcune cose importanti al contorno.
7 BATTAGLIA DI CUMA ED IL DEFINITIVO DELINEARSI DI DUE SFERE DI INFLUENZA
Gli sviluppi che seguirono videro il delinearsi di due distinte sfere d'influenza politica, greca e punica, sui mari e sul suolo della penisola italica: all'interno di questi equilibri sarebbe avvenuta l'incubazione e l'ascesa di un nuovo soggetto politico: la potenza emergente di Roma.
La riconquista dell'egemonia greca sul Tirreno dovette aspettare più di mezzo secolo: la battaglia navale di Cuma vinta dai siracusani nel 474 a. C., assestò un duro colpo al dominio navale e alle mire espansive degli Etruschi, indebolendone il controllo su Roma e sulle vie commerciali verso la Campania etrusca e, più in generale, sulle rotte marittime verso sud.
Nonostante gli eventi successivi, compresa la sconfitta dei Cartaginesi ad Imera, rimarrà invece ancora aperto il nodo degli attriti tra le due residue sfere d'influenza in Sicilia e nel Mediterraneo occidentale, che nemmeno una plurisecolare fase di conflittualità greco-punica riuscì mai a dirimere. Toccò a Roma il compito di azzerare in maniera definitiva il peso e l'ingerenza cartaginese, affermando prepotentemente la propria vocazione marittima al termine delle guerre romano-puniche su un Mare Nostrum ormai consolidato. Ma questa prospettiva storica incomincia ad essere estranea ai nostri interessi.
8 LA CRISI A SEGUITO DELLA BATTAGLIA DI ALALIA PONE LE BASI PER LA NASCITA DELLA ROMA REPUBBLICANA
La data ufficiale fu fissata da Marco Terenzio Varrone, secondo il quale la città era stata fondata da Romolo e Remo il 21 aprile del 753 a. C.. Da questo momento in poi l'insediamento sui colli di Roma di una popolazione composta per lo più da Latini vide enormemente accresciuta la propria importanza e dimensione.
La città sorgeva su delle alture -i sette colli- che erano i residui di erosioni di strati vulcanici di ere geologiche precedenti, le quali convergevano, come se fossero delle dita di una mano, verso il fiume Tevere in prossimità di un isolotto che bipartiva il letto del fiume facilitandone il guado ed il controllo sia militare che daziario: l’isola Tiberina. Questo insediamento divenne ben presto luogo di convergenza di popolazioni sia latine che etrusche, dal momento che era fortemente attrattivo di manodopera e professionalità dalle aree circostanti. Fu così che lentamente la città si popolò anche di genti venute dall'Etruria e ben presto l'elemento etrusco divenne consistente, tanto da acquisire il comando politico e degli affari. Lo sfruttamento delle potenzialità della posizione privilegiata dell'insediamento e la sua urbanizzazione può spiegare l'intervento puntuale degli Etruschi, divenuti consapevoli della posizione chiave della città in relazione ai loro interessi verso sud, verso la Campania e verso il mare: nel VI secolo a. C. i re appartennero a una dinastia etrusca, che segnò la definitiva urbanizzazione della città mediante la realizzazione di opere civili e difensive di ragguardevole mole ed importanza. Ciò è attestato anche dal nome dei tre ultimi re, i quali portano inequivocabili nomi di origine etrusca di Tarquinia: Lucio Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo.
Quella della Repubblica rappresentò una fase lunga, complessa e decisiva della storia romana: costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da piccola città stato quale era alla fine del VI secolo a. C. divenne, alla vigilia della fondazione dell'Impero, la capitale di un vasto e complesso sistema politico formato da una miriade di popoli e civiltà differenti, avviato a segnare in modo decisivo la storia del Mediterraneo e di tutto l'Occidente e, forse, della cultura del mondo intero. Ed è per questo che in questa sede è doveroso parlarne.
La leggenda narra che il sovrano esule Tarquinio il Superbo si rivolse prima agli Etruschi di Veio e Tarquinia, poi a quelli di Chiusi, governati dal lucumone Porsenna, in entrambi i casi per chiedere un sostegno militare esterno e poter così rientrare a Roma. Entrambe le sue richieste furono accolte, ed in entrambi i casi però il conflitto che ne risultò, alla fine, si risolse a favore di Roma, sostenuta da aiuti soprannaturali, come la voce che proclamò la vittoria dei Romani guidati da Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola sugli etruschi di Veio e Tarquinia, o da singoli atti di valore dei Romani, come quelli di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia, che convinsero Porsenna a levare l'assedio da Roma.
Ma saremmo falsi profeti se non ricordassimo che tutto ciò avvenne nell'ambito della crisi generale della Federazione Etrusca a seguito degli eventi militari più sopra ricordarti. Quando i Romani riuscirono a cacciare i Tarquini, furono favoriti dal fatto che la potenza etrusca era ormai in pieno declino nell'Italia meridionale. Basti ricordare che pochi anni prima, nel 524 a. C., gli Etruschi erano stati battuti presso Cuma dalle forze greche poste sotto il comando dello stratega Aristodemo, segnando la fine del loro espansionismo e l'inizio del crollo della signoria etrusca a sud del Tevere. Ciò condusse le genti latine a ribellarsi, come dimostra la successiva battaglia di Aricia, nella quale i Latini, soccorsi da Aristodemo, ottennero una decisiva vittoria per la loro indipendenza, sconfiggendo le forze etrusche poste sotto il comando del figlio di Porsenna, Arunte. Roma, leggenda a parte, seppe approfittare in pieno della nuova situazione venutasi a creare.
9 NUOVE STRATEGIE DEL MONDO ETRUSCO
Nelle righe precedenti abbiamo già parlato riguardo agli Etruschi in merito alla loro vocazione di intessere relazioni con il mondo transalpino e di quanto queste frequentazioni avessero fecondato le popolazioni che abitavano in quei luoghi. Tant’è che il sito di La Tène, sulle sponde del lago svizzero di Neuchâtel , evidenzia una chiara virata verso il mondo e le culture mediterranee. Ma abbiamo pure citato altre popolazioni più vicine al loro dominio. Queste “vocazioni” furono facilitate dal fatto che la battaglia di Alalia (vittoria cadmea o di Pirro come si vuole da parte dei Focesi di Sardegna) aveva loro “tarpato le ali”, provocando una stasi nella loro espansione nel mar Tirreno e alle foci del fiume Rodano. Ma sarà la sconfitta definitiva di Cuma, più volte citata, a costringere gli Etruschi a fare di necessità virtù, in quanto si videro le gambe tagliate o, meglio ancora, i remi spezzati dal dover abbandonare mire espansionistiche sul Tirreno e riorientare le loro relazioni commerciali verso altri orizzonti.
10 GLI ETRUSCHI DILAGANO NELLA PIANURA PADANA
Questo riposizionamento del mondo etrusco riguardo agli orizzonti commerciali e dei rapporti politici con le popolazioni confinanti vide la necessità di strutturare il territorio in maniera tale da costruire delle basi logistiche dalle quali ripartire con diramazioni volte alla conquista di nuovi mercati nelle Alpi e nel mar Adriatico ed oltre. E’ dimostrato il ruolo degli Etruschi oltre detto mare, tale da interessare direttamente aree commerciali quali l’Istria e la Dalmazia e più in generale il mondo illirico, senza citare l’interesse primario di prendere contati con la Grecia. Il primo passo fu la fondazione delle città di Felsina (Bologna), Kainua (Marzabotto), Mantua (Mantova), Spina ed altre di rango inferiore.
Felsina è la latinizzazione del nome etrusco Velzna (o Felzna) dato dagli Etruschi a Bologna nel 534 a. C., anno della sua fondazione su precedente sito villanoviano da almeno tre secoli e più. A partire dalla metà del VI secolo a. C. si registra una radicale trasformazione in senso "urbano" di Felsina, la quale assunse in questo periodo la forma di una città vera e propria. Felsina, trovandosi in posizione centrale lungo le vie di comunicazione nord-sud, fiorì rapidamente. Nonostante le scarse testimonianze archeologiche dovute alla continuità abitativa della zona nelle epoche successive, sono state ritrovate fondazioni di case in ciottoli a secco, le quali avevano spesso un tetto di tegole e coppi. In questo periodo Felsina si dotò di una vera e propria acropoli, una monumentale area sacra in posizione elevata (circa 40 m più in alto rispetto all'abitato).
Kainua (Kàinua), invece, fu un'antica città etrusca che sorgeva sul Pian di Misano e sulla soprastante altura di Misanello presso l'attuale comune di Marzabotto. Fondata nel V secolo a. C, a poca distanza dal fiume Reno, Kainua fu una delle città-stato più importanti dell'Etruria padana, nonché un importante snodo commerciale tra l'Etruria tirrenica e la pianura Padana fino alle Alpi. Posta a soli 40 km dalla vicina Bologna, vale a dire ad una giornata di marcia, all'area archeologica si accede risalendo la statale Porretana che porta a Pistoia. Il sito, seppur andato in parte perduto a causa dell'erosione della marna dovuta al fiume Reno, che sgretolò la parte più a sud del pianoro su cui era fondata la città provocandone il crollo, rimane unico nel suo genere poiché ha perfettamente conservato le tracce della sua planimetria. Esso si presenta caratterizzato da un impianto urbano ortogonale di stampo coloniale ed è costituito per lo più da numerose case-bottega, un'acropoli, due necropoli e diverse aree sacre.
Adria, secondo alcuni storici, fu la città che diede il nome al Mare Adriatico in quanto ultima colonia greco-siracusana verso nord. Le prime tracce di un insediamento nella zona dell'attuale città di Adria risalgono al periodo tra il X ed il VI secolo a. C., quando i Veneti costruirono palafitte sul terreno paludoso che, all'epoca, si affacciava sul mare. All'inizio del VI secolo a. C. Adria era un semplice insediamento etrusco posto sul Mincio, che all'epoca sfociava nel mare e seguiva quello che oggi è il corso del Canal Bianco allora chiamato Po di Adria, ed era retta da un sovrano probabilmente scelto tra la nobiltà. L’importante museo archeologico della città testimonia abbondantemente, mediante l’esposizione dei ritrovamenti, il passaggio etrusco. Questo emporio era la testa di ponte per gli scambi con l’Illirico e, più a sud, con il mondo greco. Il fatto che questo emporio fosse inglobato tra territori appartenenti ad altre popolazioni, ci fa pensare quanto efficace fosse la diplomazia etrusca.
Mantua (Màntua) è l’attuale città di Mantova situata in mezzo ai laghi formati dal delta del fiume Mincio, che in quel luogo si apre e circonda la città di aree lacustri. Fondata nel V secolo a. C. dagli Etruschi, dista 110-120 chilometri dalla più importante Felsina. Avamposto per le spedizioni commerciali verso i Liguri lombardi, è anche e soprattutto posizionata sulla direttrice che porta direttamente all’imboccatura del lago di Garda. Il fiume Mincio, in qualche maniera navigabile con chiatte o altro, permetteva il trasporto delle merci fino alla sua imboccatura, dove sorse un importante emporio commerciale (l’attuale Peschiera) volto sì alla distribuzione dei prodotti alle genti locali ma, soprattutto, al rilancio su via lacustre, delle carovane che si addentravano nelle alpi.
Peschiera sul Garda, posizionata proprio all’imboccatura del lago di Garda, che versa le proprie acque nel fiume Mincio, fu già nel secondo millennio a. C. insediamento palafitticolo con importanti compiti commerciali. La sua posizione naturale di continuità delle superfici navigabili la pone come punto di sosta e di scarico e carico intermodale, come meglio oggi la definiremmo. Stratigrafie importanti attestano di una frequentazione etrusca nel periodo di loro presenza nella Pianura Padana.
11 NAVIGABILITA’ DEL LAGO DI GARDA QUALE PERCORSO PREFERENZIALE VERSO L’ATTRAVERSAMENTO DELLE ALPI
"L’importanza che il lago di Garda riveste nella storia delle regioni settentrionali è strettamente legata alla sua identità di imponente via d’acqua, un immenso bacino idrografico che mette rapidamente in comunicazione i territori transalpini e la pianura padana, una irrinunciabile vera e propria porta per flussi commerciali e militari tra comunità altrimenti divise dalla formidabile barriera naturale delle Alpi. Il paesaggio storico di Riva del Garda, ancora oggi caratterizzato da considerevoli resti monumentali di sistemi difensivi medievali e moderni, ci sottolinea l’importanza strategica di queste località: catenaccio per la difesa a settentrione del lago e fondamentale scalo per traffici e spostamenti di merci e persone tra nord e sud del mondo alpino." (da APSAT 3. Paesaggi storici del Sommolago, o. c. , p. 38)
Invece, da AA.VV, Storia del Trentino, Volume IV, o. c., apprendiamo le modalità in merito al tema trattato dello svolgimento del Concilio Tridentino. In particolare esiste dettagliata descrizione riguardo al non indifferente problema dell’approvvigionamento alimentare di quella moltitudine di prelati e relativo seguito con il quale lo svolgimento di tale evento, sebbene avvenuto in fasi alterne, si accompagnò durante i suoi lunghi 18 anni (1545-1563).
Per incarico del Papa si provvide a nominare un responsabile della vicenda, il quale ritenne di far giungere dal sud dell’Italia grano a sufficienza, poiché in loco la terra non ne avrebbe dato abbastanza. Si pensò di far giungere via mare dalle Puglie alcune imbarcazioni, che, attraverso il cabotaggio marittimo, si portarono presso il porto di Chioggia e, in quel posto, si provvide al trasbordo del grano su imbarcazioni idonee a risalire il fiume Adige. Giunti a Verona, dove il fiume non permetteva più di essere percorso, tutto il grano venne caricato su carri trainati da buoi, i quali si diressero verso il porto lacustre di Lazzise. Da lì poi, ancora su imbarcazioni, il grano venne fatto giungere a Torbole. Finalmente, ricaricato nuovamente su carri da buoi, esso giunse dopo alcuni giorni alla città di Trento, attraverso la stretta del torrente Vela.
Questo racconto, che riguarda fatti avvenuti circa due millenni dopo l’inizio del nostro periodo oggetto di studio, ci fa capire l’importanza dello specchio d’acqua che da sempre costituì il lago di Garda, almeno fino all’introduzione della ferrovia Verona-Brennero. Per quanto il tratto Lazise-Torbole non raggiunga i 40 chilometri di lunghezza e immaginando che la viabilità della strada Verona-Trento, erede dell’antichissima imperiale Claudia Augusta, fosse in accettabile efficienza, non si rinunciò al beneficio della navigazione a vela, nemmeno per un modesto tratto dell’intero tragitto.
L’insegnamento che si può trarre da questo fatto è che l’unica vera “autostrada” di carattere regionale e oltre era costituita dal lago di Garda e che i suoi benefici economici non potevano essere trascurati.
Tutti veri questi ragionamenti, ma adesso dobbiamo incominciare a parlare delle vie o della via attraverso la quale questi traffici poterono essere collegati.
12 VIABILITA’ NEL TERRITORIO DELL’ATTUALE REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE ALL’EPOCA DELLA FREQUENTAZIONE DEGLI ETRUSCHI
Dei Reti, ovvero di quella popolazione “bellicosa” come la descrive Tito Livio, sappiamo ben poco, se non da ritrovamenti archeologici rari e parchi e da alcune decine di epigrafi. Meno sappiamo in merito alla loro organizzazione politica e territoriale. Da tutti questi dati però possiamo pensare ad una popolazione che non era in possesso delle tecnologie e dell’organizzazione politico-amministrativa di Roma, quando Roma giunse da queste parti in forze verso il II-I secolo a. C., perché il periodo di Roma repubblicana fu un periodo di grandi scommesse vinte e di incubazione di politiche ed organizzazione tecnico-scientifica che diedero i loro frutti in epoca imperiale.
Per spiegare queste cose aiuta raccontare alcuni fatti esemplari. Innanzitutto quando Roma intese intraprendere la guerra contro la città di Taranto, dovette dotarsi dei mezzi necessari per affrontarla: primo fra tutti un sistema di viabilità che le permettesse di ottenere grandi, sicuri e veloci spostamenti di legioni ma anche del poderoso apparato della sussistenza. Per fare fronte a ciò decise di intraprendere quella colossale –per allora- opera della realizzazione della “Regina viarum” che fu l’Appia Antica, oltre a decidersi di dotarsi di una forza navale adeguata a battere i suoi avversari in mare aperto. Non fu uno sforzo da poco, ma ciò mise in evidenza le capacità tecniche ed organizzative di cui Roma già era in possesso da tempo. Il resto lo fece nei secoli successivi mediante la centralizzazione del potere politico su un territorio che poteva già definirsi la quasi intera Italia peninsulare. Quindi: un potere decisionale unico e centralizzato, conoscenze tecnico-scientifiche di assoluta avanguardia e la possibilità di disporre delle risorse economiche e umane adeguate al caso per pianificare gli interventi e di programmarli nel tempo. Queste furono le risorse e la cultura e l'ideologia che le presiedeva, tali da permettere a Roma la realizzazione dell’Impero.
Quando i fatti portarono Roma da queste parti, con dispiaciuto ritardo, mediante decisioni prese durante la Pax Augustea, perché la lezione dei Cimbri era ancora un nervo scoperto, troppo tempo era passato da quel tragico evento pieno di paurose incognite senza che si fosse potuto prendere le dovute contromisure. Questo ritardo avvenne a seguito della paralisi politica dovuta a ben tre guerre civili pressoché consecutive. Alla prima occasione, però, Roma si trovò pronta con tutto il suo apparato organizzativo. Dopo alcuni anni di assestamento incominciò a guardare più in là, oltre ai confini alpini e verso quelli danubiani.
Per fare ciò dovette approntare un sistema viario all’altezza per il collegamento con le provincie danubiane per il controllo di quei territori. A tal fine provvide alla realizzazione della via imperiale Claudia Augusta, dotata di prestazioni tali da garantire in ogni momento dell'anno il passaggio di uomini e cose. Nessuno lo può sapere, ma tutti immaginiamo che, per passare per la valle dell’Adige, i romani avessero utilizzato l’elemento locale della viabilità modificandolo, migliorandolo e dotandolo delle necessarie opere d’arte nonché di un presidio territoriale che ne garantisse la manutenzione. Questo sta a dire che le popolazioni che avevano il controllo di questo territorio precedentemente non potevano vantare opere simili.
Tutto ciò rimanda ad un pensiero che ora deve essere esplicitato: ogni civiltà si definisce tale anche per il livello tecnologico di cui è stata capace di dotarsi e, in base a queste acquisizioni, organizza la propria esistenza strutturando il proprio territorio di pertinenza. Possiamo dire, senza timore di smentita, che la civiltà retica fosse ad un livello organizzativo decisamente inferiore a quello di Roma imperiale.
Chi scrive non è uno storico né tanto meno un archeologo, bensì un architetto che per un periodo della propria vita si è interessato agli insediamenti sia storici che non, maturando una sensibilità in merito alla formazione dei luoghi umani e alla cultura con la quale l’uomo, a seconda dei momenti storici, ha organizzato e strutturato il proprio ambiente e territorio di vita. A questo proposito è doveroso richiamare gli insegnamenti degli studi e delle ricerche fatti dal prof. arch. Gianfranco Caniggia (Roma, 1933-1987) negli anni ’60-'80 del secolo scorso. Il testo base, ma non il solo, è il seguente: Strutture dello spazio antropico, Alinea, 1975.
L’uomo da sempre si è mosso alla ricerca di nuovi spazi o semplicemente per abitare un luogo cercando di non trasgredire un principio fondamentale: la propria sicurezza esistenziale. Pertanto egli si è mosso seguendo direzioni che tendenzialmente lo hanno portato verso condizioni di dominio rispetto al mondo circostante, cercando di scartare il più possibile situazioni di pericolo. Queste condizioni materialmente si possono elencare attraverso situazioni in cui egli è in grado, nella maggioranza dei casi, di controllare il proprio intorno, scongiurando pericoli naturali quali inondazioni, frane e smottamenti, guadi impossibili, zone insalubri, ecc., dotandosi, invece, delle possibilità di approvvigionamento di acqua potabile per sé e per gli animali e le colture.
In proposito Caniggia elenca e sintetizza in due tipi di percorsi i benefici dell’uno e le difficoltà dell’altro. Essi son il percorso di promontorio e il percorso di fondo valle. Per percorso di promontorio dobbiamo intendere un percorso che attraversa un luogo più o meno accidentato, stando sempre nella parte più alta, nello spartiacque per intenderci. In questa posizione egli tenderà sempre ad evitare tutti quei pericoli sopracitati, operando una posizione di vigilanza anche nei confronti di eventuali nemici o altro. Nel fondo valle le difficoltà tendono ad aumentare, in quanto il controllo di quanto gli sta attorno non è più garantito o non è più totale. Nemmeno eventuali cedimenti della montagna, frane od alluvioni potranno salvarlo dal pericolo, per non parlare di zone malsane quali quelle malariche.
Da quanto emerge da questi fatti elencati sembrerebbe che l’uomo non può trovare alternative alla vita di promontorio. Ma non è così, perché le situazioni sono sempre complesse e mai raramente rispondono per intero a quanto schematizzato sopra. Se per caso lo spartiacque è semplicemente una cresta di cime inaccessibili, è impensabile che egli possa percorrerla. Allora Caniggia introduce un nuovo elemento di giudizio che è una variante alla prima ipotesi e formula la definizione di pseudo promontorio. I principi di sicurezza esistenziale, in questo caso, sembrano tutti quanti salvaguardati in maniera accettabile.
Se noi adottiamo questi principi e li applichiamo alla via Traversara e ai percorsi preromani della valle dell’Adige, ci troveremo in situazioni che possiamo tranquillamente valutare. Per percorsi preromani dobbiamo intendere quei tratti di piste e di vie localmente carrabili e non che hanno costituito, nel passato, le connessioni tra un villaggio retico e l’altro disposti su conoidi di deiezione dei rivi delle vallecole laterali del fiume Adige. Su questi conoidi l’uomo trovava una situazione di accettabile sicurezza esistenziale dovuta al controllo delle aree circostanti, buona disponibilità di acqua potabile, lontano ma non sempre da frane ed alluvioni, perché il conoide talvolta diventava pericoloso. Per contro riusciva a sfuggire dai miasmi malarici che accompagnavano le aree paludose di un fiume che spesso esondava in maniera assolutamente incontrollabile. Di più: queste esondazioni spesso mettevano in crisi il modesto sistema di connessioni viarie di cui sopra, privo di risorse quali arginature e ponti e viadotti.
Questo era, probabilmente, lo stato della viabilità che i Romani trovarono quando decisero di occupare queste terre. Qualche decennio dopo e per mano dell’imperatore Claudio venne aperta una strada di fondo valle, la quale permise, attraverso i sistemi ingegneristici che conosciamo, di migliorare la situazione pregressa. Quando l’Impero andò in crisi nulla più era garantito ai fini del mantenimento viario. E spesso tornò “di moda” il percorso di promontorio, vale a dire: la Traversara, che si propose come valida alternativa in momenti di grave difficoltà del presidio politico-militare.
Se i trasporti in epoca preromana seguivano la logica delle carovane di muli o asini, era quasi scontato che essi insistessero attraverso luoghi dove certe condizioni venivano più garantite che altrove, a costo di percorrere tratti di pendenza talvolta sensibile. Ma per i muli e asini l’andare su e giù era un problema relativo. In più, eventuali guadi o attraversamenti dei modesti corsi d’acqua potevano essere superati da opere realizzate da popolazioni in loco per mezzo di tronchi di legno ed altro. Nel fondovalle, dove si materializzava la congiunzione di detti corsi, la portata spesso era superiore di alcune volte e i provvedimenti da adottare risultavano ben più impegnativi, spesso fuori portata dalle conoscenze e possibilità delle popolazioni del luogo.
Crediamo ora di avere spiegato con abbondanza di cognizioni le ragioni del perché gli uomini, sia del periodo preromano che dell’alto medioevo, preferirono i primi percorsi e tornarono a preferire gli stessi quando si ripresentò la necessità, scegliendo strade che adesso noi chiamiamo più propriamente di pseudo promontorio.
13 LA VIA IMPERIALE CLAUDIA AUGUSTA E LA SUA TRANSITABILITA' VERSO IL PASSO DEL BRENNERO PRIMA DI ROMA, DURANTE ROMA, IL MEDIOEVO E L'ETA' MODERNA.
In questa sede non parleremo del percorso della via Claudia Augusta lungo la valle dell'Adige, poiché questo problema è stato abbondantemente discusso ed egregiamente risolto da altri in altre sedi. Ci permettiamo di ricordare, però, delle difficoltà esistenti durante certi periodo della sua transitabilità in merito al percorso di fondo valle lungo il tratto che va da Pons Drusi (l'odierna Bolzano/Bozen), fino a Vipitenum (oggi Vipiteno/Sterzing). L'esemplarità di queste difficoltà sono tali da chiarire che cosa si intenda per fondo valle e percorso di promontorio. La storia è la seguente. I Romani, arrivati a Pons Drusi, anziché proseguire verso il Brennero lungo il corso del fiume Isarco, dovettero deviare e prendere due strade. la prima risaliva l’Adige fino a Maia Castrensis (l’attuale Merano/Meran), per poi affrontare i tornati della val Passiria. Arrivati al culmine del passo, ridiscendevano verso Vipitenum per poi affrontare il Brennero. Il valico che dovevano affrontare era tutt’altro che semplice: 2094 m s.l.m.. Pare che al culmine della salita fosse stata collocata una statua del dio Giove, Jupiter in latino, da cui Jaufenpass in tedesco da cui, infine, passo del Giovo in italiano. Questa statua venne poi portata a Innsbruck verso il 1300 per poi far perdere le proprie tracce. L’altra soluzione consisteva nell' affrontare le salite della val Sarrentino, per poi scollinane verso Vipitenum al passo Pennes, che conta ben 2211 m. s.l.m.. Nel medioevo ci fu una terza soluzione: l'altipiano del Renon/Ritten che rappresentava la maniera più breve per collegare la già esistente Bolzano/Bozen con Bressanone/Brixen. Essa era costituita da una salita che partiva da Bolzano per il citato altipiano e, poi, la discesa lungo una stradina da Longomoso/Lengmoos verso Chiusa/Klausen. Al riguardo è necessario ricordare un fatto importantissimo che avvenne il 27 giugno dell'anno 1027 sul Renon: in quella data e in quel luogo venne riconfermato il Principato vescovile di Bressanone da parte dell'Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico Corrado II il Salico.
Tutto ciò sembrerebbe illogico se non si spiegasse con le difficoltà di risalire una valle fluviale con tutti i problemi di attraversamento delle sue acque. Solamente a impero romano consolidato si poterono realizzare delle opere stradali per le quali finalmente da Pons Drusi si poteva congiungersi con Vipitenum attraverso la via più breve e anche la più ovvia e naturale. A questo fatto risalgono i ritrovamenti del secolo scorso di alcuni cippi miliari risalenti alla fine del III-inizio del IV secolo d.C..
Tutto ciò permise la percorrenza della strada di fondo valle attraverso la costruzione di opere non indifferenti. Ma è evidente che il genio e l’organizzazione imperiale lo permettevano. Con la crisi dell’Impero Romano vennero a mancare tutti i requisiti affinché detta viabilità potesse conservare la propria efficienza. Allora si dovette tornare all’utilizzo delle vecchie strade di montagna. Si dovette aspettare l’arrivo del secolo XIV affinché un imprenditore di Bolzano si cimentasse nel tentativo di realizzare un nuovo ricongiungimento stradale lungo la stretta di Chiusa.
Che cosa ci insegna questa avventura? Che in mancanza dell’adeguata tecnologia ed ingenti risorse finanziarie ed organizzative, sia durante il periodo pre-romano che in quello dell’alto Medioevo, non si poteva percorrere la via di fondo valle, e che la soluzione percorribile era da individuarsi in quelle strade di montagna che noi precedentemente abbiamo imparato a chiamare viabilità di promontorio o di pseudo promontorio.
Se noi infine cerchiamo di fare dei parallelismi con la nostra Traversara, possiamo capire la sua capacità di strada affidabile sia durante il periodo preromano che durante tutto il medioevo.
14 IL BASSO SARCA E LA SCELTA DI UNA STRADA VERSO LE ALPI
“Non è privo di significato il fatto che la seconda zona di intensa presenza umana durante il primo millennio a. C., dopo la conca di Terlago, sia l’Alto Garda. Le istanze di controllo della viabilità sono evidentemente prevalenti in questo periodo: il territorio tende a essere frequentato a scopi unicamente economici, senza quella vera e propria diffusa presenza insediativa che caratterizza l’Età del Bronzo. il Castil di Arco documenta forse il primo processo di alfabetizzazione della regione alpina alle soglie del VII secolo a. C., ad opera di gruppi nordestruschi.
Una brocca di bronzo (Schnabelkanne), rinvenuta a Riva, è da considerarsi una importazione da empori etruschi; allo stesso modo, un particolare tipo di macina “a leva”, documentato anche in val di Ledro, ma diffuso specialmente in Alto Adige lungo le valli dell’Adige e dell’Isarco, è una acquisizione legata ai contatti culturali con il mondo etrusco e celtico... La relativa rarefazione di testimonianze della presenza umana in età protostorica nel territorio dell’Alto Garda e delle sue convalli deve avere qualche cosa a che fare anche con l’esistenza di una sorta di limite geografico tra gruppi “retici” occidentali e gruppi “retici” orientali. Tale limite è segnalato dalla distribuzione del caratteristico boccale tipo Stenico, dal luogo di culto in cui è stato rinvenuto per la prima volta in Trentino. La diffusione di questo particolare manufatto ceramico riguarda essenzialmente la regione dei laghi lombardi, tra il lago di Varese e il lago di Garda; esso non appare documentato a est dell’Adige: in Trentino boccali tipo Stenico sono noti a Breguzzo, Zuclo, Vigo Lomaso, San Martino ai Campi di Riva, Mecchel, Sanzeno, Pejo e Storo. (Bernardino Bagolini e Umberto Tecchiati, Le trame della storia, pagg. 116-117, in Aldo Gorfer e Eugenio Turri (a cura di). Là dove nasce il Garda, CIERRE Edizioni, 1994)
Noi oggi siamo tentati di interpretare la valle del fiume Adige quale connettivo privilegiato per le comunicazioni interregionali, proprio perché attraverso di essa passano tutte le infrastrutture del passato storico e della contemporaneità: dalla Imperiale Claudia Augusta alla ferrovia del secolo XIX, fino all’autostrada del Brennero e il realizzando raddoppio ferroviario. Ma prima dell’arrivo di Roma –come ben trattato in altri passaggi di questo scritto- forse il fiume Adige o almeno quella parte di esso successiva ai tributi di acqua ricevuti dal fiume Isarco in poi era vista più come un ostacolo che elemento di cucitura interregionale; si cerchi di immaginare che cosa poteva essere in quei tempi l’alveo di un fiume tutt’altro che regolato dalla mano dell’uomo, che esondava in maniera capricciosa e imprevedibile e invadeva e cancellava insediamenti, coltivi e quelle rare, preziose e precarie infrastrutture viarie, lasciando decine di migliaia di ettari devastati e sommersi da acquitrini al cospetto dei miasmi malarici per buona parte dell'anno. Non per niente gli insediamenti umani, fino al secolo XIX erano arroccati esclusivamente sui conoidi di deiezione delle acque delle convalli. I lavori sistematici di irreggimentazione del fiume Adige iniziano nella seconda metà del secolo XVIII, a monte di Bolzano, e terminano verso la metà del secolo successivo in tutto il Trentino. Ed è con questi lavori che ha inizio l’occupazione del fondovalle in maniera sistematica e stabile. Al riguardo si possono consultare il progetti in originale depositati presso il Genio Civile di Trento.
Che cosa si evince dal testo di Bagolini-Tecchiati?: che in sponda idrografica destra dell’Adige deve essersi sviluppata una cultura abbastanza omogenea sull’influsso dell’apporto culturale del commercio etrusco, coinvolgendo le valli del Chiese, delle Giudicarie, dell’alto Garda, di Non e di Sole. L’elemento connettivo tra queste realtà geografiche non possono che essere stati il passo di Campo Carlomagno (m 1681 m s.l.m.) tra la Rendena e Val di Sole e il più transitabile passo di Andalo (m 1030 s.l.m.) e il Ballino (m 765 s.l.m.) tra la valle di Non e ancora di Sole con l’alto Garda. Questa realtà venne poi rilanciata con le relazioni con le valli dell’Isarco e dell’alto fiume Adige da Bolzano in su, per sconfinare nei passi alpini di Resia e del Brennero. E’ difficile non immaginare in questo contesto un ruolo strutturale che potrebbe avere avuto quella che noi oggi chiamiamo via Traversara, in tutte le sue implicazioni: quale via di collegamento locale e di connessione a grande gittata transalpina. L'omogeneità culturale più sopra citata e la sua distanza, invece, con le aree ad est dell'Adige può essere compresa alla luce anche di quanto da noi affermato finora riguardo a quello stesso fiume, che, almeno in quel tratto, più che un ponte e strada, forse costituì una barriera?
In altri termini, quando Bagolini e Tecchiati affermano che: “Le istanze di controllo della viabilità sono evidentemente prevalenti in questo periodo…” sembrerebbe di capire che l’arrivo di popolazioni dedite ai commerci su grande scala -gli Etruschi- aveva sconvolto la logica insediativa di quelle che abitavano quei luoghi al solo scopo della propria sussistenza, facendole traghettare verso un mondo e una società fatti di scambi e cooperazione a medio e vasto raggio, con la necessità di individuare una rete infrastrutturale accettabilmente efficiente. Ed è solo da questo momento che compare all’orizzonte una nuova cultura che è stata definita di Fritzens-Sanzeno, sostitutiva della precedente chiamata di Luco-Meluno. Si noti la straordinaria coincidenza dell’area geografica interessata da questi due fenomeni perfettamente sovrapponibili e che attengono principalmente alla valle Engadina, al Nord Tirolo e alle province di Bolzano e Trento. Si può affermare, anche considerando gli esiti degli scavi di Sanzeno d’Anaunia, che è la presenza massiccia di contatti materiali con la civiltà etrusca e poi celtica che fa evolvere una cultura nell’altra e che gli scambi con gli ambienti mediterranei riescono a fecondare positivamente buona parte del territorio dell’arco alpino. Detto con altre parole, è il contatto con i commercianti etruschi che permette l’arrivo di flussi culturali provenienti dal mare Egeo e filtrati attraverso la loro rielaborazione dalla civiltà sorta attorno al mar Tirreno. Sembra di assistere a una storia già vista e sentita, che parla della differenza tra la cultura di Hallstatt e di quella ad essa successiva di La Tène.
L’onda lunga di civilizzazione provocata attorno al X secolo a. C. e partita dall’Asia Minore per mano dei Fenici, passata di mano alle popolazioni greche e trasmessa da queste agli Etruschi, si infrange, a distanza di quattro-cinque secoli, su tutto l’arco alpino e oltre, portando arricchimento materiale e non solo: si pensi alla lunga parabola compiuta dall’alfabeto etrusco, già greco, indiretta emanazione e rielaborazione della scrittura fenicio-aramaica.
In merito alla riscoperta di spezzoni di viabilità anche in località Baltera, presso Riva, Cristina Bassi così si esprime: “Tale via rimase in uso durante tutta l’età romana per essere poi totalmente abbandonata a partire dal VI secolo d. C., epoca in cui al di sopra dei suoi livelli si vennero ad impostare le murature di alcuni edifici risalenti appunto a questo periodo. L’andamento irregolare di questo tracciato, così come quello precedente, evidenzia la necessità di adeguare il percorso alla morfologia del territorio ricalcandone le sue caratteristiche, essendo condizionato nel suo sviluppo soprattutto dai rilievi montuosi che chiudono il limite occidentale della piana del basso Sarca; anche in questo caso non è da escludere che la strada, che conduceva verso Arco e con una sua diramazione forse verso il passo del Ballino, abbia origine da percorso più antico, antecedente all’epoca romana, che in seguito venne sistemato e strutturato con l’adozione di metodologie e tecnologie più consone a questo tipo di opere... Questa viabilità, però, pur essendo certamente funzionale ai collegamenti tra i diversi nuclei abitati presenti nel tratto Riva-Arco, non sembra riferibile, né motivata in alcun modo, dal sistema della centuriazione che prevedeva invece moduli di suddivisione regolari ed ortogonali tra loro.” (Cristina Bassi, APSAT 3. Paesaggi storici del Sommolago, p. 146)
E per quanto si riferisce a un preesistente porto preromano, ancora la Bassi così continua: “Circa l’abitato di Riva del Garda, il cui antico nome (Ripa?, n.d.r.) non è mai documentato nelle fonti letterarie ed epigrafiche di età romana, le indagini condotte negli ultimi anni hanno portato ad ampliare considerevolmente le nostre conoscenze e ad affermare la presenza di un vicus. Con questo termine si intendono normalmente dei centri abitati non configurati giuridicamente dal punto di vista amministrativo , sviluppatisi per varie ragioni ma che spesso sorgono “(…) all’incrocio tra vie di terra e vie d’acqua (…)” (Calzolari 1991, p. 326). La posizione di Riva del Garda, che si colloca all’estremità settentrionale dell’omonimo lago, in coincidenza quindi di una importantissima via lacuale, chiarisce le ragioni dello sviluppo di questo insediamento. La presenza qui di materiali d’importazione dell’area centro-italica, come ad esempio una Schnabelkanne (brocca a becco in bronzo già precedentemente citata da Bagolini-Tecchiati, n.d.r.) di probabile produzione etrusca e datata al V-IV secolo a. C., costituisce un significativo indizio del ruolo di transito per le merci di questo sito ancora prima della romanizzazione.” (Cristina Bassi, APSAT 3. Paesaggi storici del Sommolago, pp. 150-151)
Che il nome di Riva derivi dal latino ripa non stupisce nessuno. Ma perché non chiamare così altri toponimi di porti gardesani? Evidentemente Riva e non altri occupava un posto di rilievo nella riviera gardesana per meritarsi tale nome, tutto questo molto prima che la città sviluppasse le strutture portuali storiche che le si devono riconoscere. Quindi Riva sembrerebbe essere stato il porto per antonomasia. Certo è che anche Torbole fu porto lacustre di un certo interesse; seppure di rango inferiore, è evidente che i suoi traffici erano rivolti altrove.
Proviamo a pensare quali potessero essere le scelte delle strade da intraprendere per un carico che fosse arrivato via acqua ai porti del Basso Sarca. Le strade disponibili erano tre: la prima riguarda la via del lago di Loppio sicuramente partendo da Torbole, per poi scendere giù verso Mori per percorrere, infine, la valle del fiume Adige con le problematiche già accennate; la seconda ci porta a Trento attraverso la valle dei Laghi e il Bus di Vela, sempre che quel passaggio fosse stato forzato in tempi antichi; e anche per questa via appare ancora preferibile Torbole anziché Riva: si evita l’attraversamento del fiume Sarca e tutto il Linfano con le problematiche delle esondazioni del Sarca e conseguenti impaludamenti. Però, a ben pensarci, Riva sta al di qua del fiume Sarca, in sponda idrografica destra, che in tempi pre-romani doveva essere un solco di difficile attraversamento, vera e propria barriera invalicabile. E perché mai Riva sorge oltre la sponda opposta se i collegamenti con il nord le sembrano apparentemente preclusi? E perché questo nome tanto impegnativo? Perché noi riteniamo che da essa si dipartisse una strada di assoluta preminenza che si chiama Traversara.
Proviamo a descriverla. Si esce dal centro storico di Riva attraverso la porta sinistra del lato nord per affrontare via Prati. Da come è organizzata la morfologia del borgo fuori le mura, sembra proprio che lo abbia generato un percorso di una certa importanza. L’altra porta, discretamente monumentalizzata, asseconda compiti diversi, di rappresentanza e di diretta direzione verso Trento. Si prosegue per via Ardaro, incamminandosi verso la salita della montagna. Dopo alcuni tornanti della strada attuale si incrocia il centro fortificato di Tenno di antiche origine romane. La strada prosegue, poi, lambendo il piccolo lago di Tenno, avviandosi verso il passo del Ballino che supera in agilità. Raggiuntolo, essa si indirizza verso il centro di Fiavè per giungere, in fine, al nodo stradale di Comano Terme dove più in giù, ad est, è posta la località di Ponte Arche. In questo posto, dove il torrente Sarca non ancora fiume si presenta con una certa confidenza e dove oggi esiste un ponte decisamente impensabile nei secoli addietro, la strada doveva aver trovato un non impossibile guado o realizzato una semplice struttura di legno per attraversarlo. La via più avanti, tra un tornante e l’altro, ci indirizza verso il Banale, con il centro di San Lorenzo, fino a giungere a Nembia e, quindi, al lago di Molveno. Si continua la risalita verso Andalo e il suo passo altrettanto facile del Ballino; subito dopo essa costeggia a ovest il laghetto di Andalo, sede di ritrovamenti neolitici, per piegare verso la località dei “Priori” già nel comune di Cavedago. Più oltre incrocia la chiesetta di san Tommaso e piega a sinistra in piena discesa, senza attraversare il rio che porta al centro di Cavedago. Scende verso la località “Maset” per avvicinarsi lentamente al torrente Sporeggio (in quel luogo poco più di un ruscello), che attraversa mediante un facile ponte in località "Crocefiss". Successivamente costeggia detto torrente lungo la valle delle Seghe, disseminata di segherie e mulini ad acqua, fino alla località “al Pont”, ma evita di attraversarlo per andare a Spormaggiore, per indirizzarsi, invece, in alto verso il “plan del Benon”. A questo punto viaggia in quota, a mezza costa, sopra il piccolo nucleo di Maurina, lambendolo solamente di striscio però condizionandone -aparere dello scrivente- i caratteri morfologici e determinando la sua "fortuna" insediativa. Successivamente incrocia il castel Rovina che le fa da sentinella mediante controlli sulle merci e imponendo dazi vari. Infine trova i centri di Sporminore, Lover, Campodenno, Termon, Cunevo, Flavon e Terres nell’ordine, prima di incrociare il torrente Tresenica o Tresengia in parlata locale. Da questa infilata che sembra un enorme “spiedo” che non tralascia nulla, rimangono esclusi alcuni nuclei minori quali Dercolo, Quetta e Segonzone: cose marginali necessarie al completamento del sistema insediativo.
Denno merita un discorso a parte che non può trovare spazio in questa trattazione. Questo centro ha tutti i caratteri di un insediamento nato di getto, con una sua matrice chiaramente pianificata sia nella sua morfologia, nella metrica dimensionale che scandisce le unità edilizie, che nella viabilità di raccordo a quella più generale del territorio. Denno richiama tempi più recenti e con logiche standardizzate oggetto di studio da sempre che sono estranee al mondo preromano.
Mi permetto di inserire una osservazione molto personale in merito alla localizzazione di castel Rovina. Guardando la valle dalla finestra della mia casa in Spormaggiore, “de là da l’aca”, come si dice da noi, oltre il torrente Sporeggio, mi sono sempre chiesto perché mai il castello è sorto in un posto così difficile per i collegamenti, visto che sembra proprio fuori mano. In realtà, rivisto nell’ottica della via Traversara, il fatto trova piena comprensione. Esso è posto proprio sulla via più importante e ne controlla i traffici.
(N.B.: per una maggiore comprensione dell'inizio della via, si presti attenzione alla descrizione dello sviluppo del borgo di Riva dalle deduzioni dell'analisi storico-morfologica riscontrabili nel commento alla sua piantina catastale più avanti allegata.)
Fin qui non credo che ci possano essere discordanze interpretative, poiché la viabilità appare unica ed inequivocabile. Da questo momento in poi essa si presta a diverse interpretazioni sulle quali mi preme soffermarmi per esporre la mia personale che mi sta a cuore.
Appena usciti da Flavon, anziché andare verso Terres e, quindi, verso Tuenno e Cles, la strada scende verso il torrente Tresengia e lo attraversa con un modesto ponte in legno. Poi risale verso il piccolo nucleo di Portolo, poi è la volta del centro di Nanno e da lì in poi trova un’autostrada spalancata davanti a sé, che la porta direttamente verso i centri di Pavillo, Tassullo, Rallo, fino a Maiano di Cles. Ripeto: senza passare per Tuenno e Cles. Se così non fosse, che cosa ci stanno a fare le rovine di castel Flavon, subito dopo il paese, a ridosso della strada? Da sentinella della Traversara, nè più nè meno dello stesso compito di castel Rovina. E poi ancora castel Nanno e Tassullo, fino alla presenza vigile dall’alto (e non dal basso) di castel Cles. Questa mia personale ipotesi riguarda gli antichi assetti del territorio, tant’è che castel Flavon è rovina da molti secoli e oggi si presenta tra le sterpaglie come un confuso ed indifferenziato ammasso di pietrame. Nulla vieta che in tempi più recenti ai nostri la strada attraversasse il centro di Tuenno e Cles o entrambi i percorsi assieme come libere opzioni dei carovanieri. E’ ovvio che se ci sono delle consegne da fare al centro di Cles, si sceglie la strada che porta a tale luogo, magari “facendosi” anche un quartino di rosso, ma se si tratta di tirare dritto, non ci sono opzioni di sorta. Del resto il carovaniere di professione aveva i passi contati. Poi molto dipese dai tempi e dagli equilibri del potere locale. Far passare una carovana implica poter imporre pedaggi; significa alloggiare persone, animali e cose: tutte attività che comportano certi guadagni per chi le organizza. E questo è tutt’altro che secondario.
Giunti a Maiano, la strada scende per attraversare il torrente Noce attraverso il ponte romano. Essa continua e risale l’altra sponda presso Revò. Quindi prosegue per Romallo, Cloz, Brez, Castelfondo e il santuario di Unsere Liebe Frau im Walde. Da lì raggiunge il passo delle Palade per giungere in maniera non facile al centro di Lana per congiungersi, alla fine, con Merano ed incrociare la Claudia Augusta. Descrivo sommessamente questa parte perché, oltre che non avere le conoscenze dei luoghi in maniera adeguata, preferirei che si leggesse la descrizione di Enzo Leonardi nel libro citato nell’introduzione, più pertinente e convincente, oltre che più colta.
15 LA TRAVERSARA QUALE ELEMENTO DI STRUTTURAZIONE ANTICA DEL TERRITORIO DELLA VALLE DI NON
Se ci limitiamo a considerare la parte descritta della valle di Non, ci rendiamo conto che abbiamo citato buona parte di essa ad esclusione dei “Soratovi” da San Zeno in su fino a Fondo e la parte bassa della sponda destra idrografica del Noce. Poco conta, perché la natura di altipiano della valle non può essere soddisfatta da una sola strada, la Traversara, men che meno quando il territorio è profondamente diviso dal solco del Noce e dal rio Novella. Però sostenere che essa sia stata nel tempo la spina dorsale della strutturazione del territorio descritto non è né esagerazione né tantomeno azzardo.
Un’ultima considerazione. Gli studiosi di toponomastica locale sostengono che buona parte dei nomi di centri e nuclei che qui sono stati elencati trovano origine in una fonetica di matrice retica. Che dire delle origini pre-romane della Traversara? Evidentemente, al giungere dei Romani, qua e là è probabile che debbano esserci stati alcuni insediamenti modesti, appena dei nuclei di abitazioni che forse sfruttavano la strada come opportunità di scambio. Essi col tempo diedero luogo a villaggi di maggior importanza. Certo è che la parlata locale non cessò al arrivo dei Romani. Essa venne confermata ovviamente tra le popolazioni autoctone, arricchendo il loro repertorio con intrusioni ed arricchimenti latini nei secoli successivi. Però sappiamo che i toponimi sono tenaci nella loro sopravvivenza e qualcosa del periodo passato deve essere rimasto.Interessante sarebbe interpellare gli archeologi in merito ad eventuali ritrovamenti predatati all'arrivo di Roma.
16 NOTE AGGIUNTIVE IN MERITO ALLA STRUTTURAZIONE DEL TERRITORIO
L’uomo, da sempre, è homo viator, “pellegrino su questa Terra”, vale a dire essere animato che ha bisogno di muoversi sul territorio per esplicare il proprio dominio ed imporre la propria signoria sulle cose e sui luoghi. Egli si muove in una sola maniera: realizzando un percorso più o meno lineare dove possibile, materializzandolo, “marcandolo” attraverso segni sul territorio che vanno dal più debole al più forte, dalla semplice traccia di passaggio di una pista al più consistente segno di una strada strutturata. Il suo movimento è di andata e ritorno, di tentennamenti ed incertezze; poi ha bisogno di una sosta, di scegliere un luogo per organizzare la propria dimora dentro un area di sua elezione che gli garantisca sicurezza esistenziale e l’acquisizione dei mezzi materiali per la propria sopravvivenza. Quindi torniamo alla definizione classica di Témenos (recinto o dominio e, per estensione, un intorno controllato, la proprietà ecc.), dromos (percorso strutturato, via ecc.) e thòlos (punto di arrivo e di sosta, tomba e, per estensione, insediamento, abitazione, casa, dimora, maso).
Dove vogliamo arrivare con questo giro di parole: alla definizione di come un territorio lentamente si struttura. Le costanti antropologiche sono queste: prima si va e si viene; poi si sceglie un posto e ci si ferma e si organizza il proprio ambiente; infine si rilancia la propria azione: altri andranno più in là, realizzando dei collegamenti e bonificando delle terre e le assoggetteranno alla propria proprietà. Alla fine, se questa realtà ricopre un interesse superiore, verrà qualcuno che metterà assieme le carte e deciderà quali saranno le più interessanti. Si realizzerà un rammendo, una ricucitura di questi segni e ne verrà fuori un percorso di interesse primario per il territorio. Successivamente, se i fatti lo permetteranno, questi luoghi verranno percorsi avanti e indietro e finiranno per far parte di sistemi più complessi. Poi potrà venire anche la decadenza e l’oblio e il tempo lascerà i propri segni. Frane, alluvioni e smottamenti renderanno il tutto estremamente precario per cui, alla fine, si dovrà intervenire in maniera selettiva con varianti e ristrutturazioni senza contare che, nel frattempo, possono esserci state rivoluzioni tecnologiche (canali navigabili, tunnel, ferrovie) che hanno portato a nuovi equilibri. E’ la storia di tutti i luoghi umani. Sta all'analista raccoglierli e interpretarli.
Ovviamente lo scenario descritto sopra è un fenomeno processuale lento, talvolta impercettibile a chi lo sta realizzando, che impegna almeno una generazione, talvolta più generazioni di vita e può arrivare a compiersi forse anche in alcuni secoli e forse anche più. Nella storia ciò ha comportato che le dinamiche siano state gestite dall’avanzamento tecnologico delle singole civiltà. Di questo ne abbiamo parlato in abbondanza. Però va ricordato che nella sostanza si sono avvicendate ondate tecnologiche che possiamo riassumere in questa maniera: dal mondo preistorico, dove l’uomo conosceva solamente la proprietà motoria delle proprie gambe, egli è passato alla capacità di addomesticare il cavallo; successivamente è giunta l’invenzione della ruota e, quindi, del carro, per giungere, in epoche più recenti alle nostre, al perfezionamento del sistema di traino inventando il collare da tiro. Tutto ciò ha comportato rivoluzioni tecnologiche che hanno caratterizzato intere civiltà, stabilendo supremazie territoriali e rivoluzioni sociali all’interno di esse, ridefinendo le gerarchie.
La presente descrizione del tutto teorica è tratta dai contributi fondamentali delle ricerche dei seguenti studiosi: Christian Norberg-Schulz (Oslo, 1926-2000), Tempo, spazio e architettura, Officia Edizioni, 1978; Gianfranco Caniggia (Roma, 1933-1987), Strutture dello spazio antropico, Alinea, 1975, (opera già citata).
Come tutti i luoghi, ci viene da ripetere, la via Traversara è figlia di queste logiche.
Poi si dovette pensare a difenderla. Qua e là sorsero dei luoghi fortificati che si contesero all’inizio il territorio; alla fine ci fu un perdente che se ne andò ed il vincitore prese tutto. Allora bisognò organizzare lo sfruttamento, la difesa, imponendo tributi, dazi e controllando le persone e le cose di passaggio. Alla fine questi luoghi finirono per chiamarsi castelli ed ebbero un nome. Proviamo ad applicarlo alla via Traversara. Dal porto fortificato di Riva del Garda si passa per castel Tenna, poi si procede nelle vicinanze di castel Mani nel Banale. Quindi è la volta di castel Rovina, Flavon, Nanno, Spaur di castel Valer di Tassullo, Cles di Cles. Poi è la volta dei signori di Cloz, di Arsio e il castello di Castelfondo. Non ne rimane fuori nemmeno uno, a dimostrazione che il territorio è stato strutturato attraverso questa strada e più o meno, tutto si è adattato ad essa. Nel tempo alcuni luoghi sono cresciuti d’importanza, altri l’hanno persa.
17 CONCLUSIONE
Se così stanno le cose, possiamo dire che quando arrivarono i Romani in valle trovarono già una viabilità strutturata e in qualche maniera efficiente. Del resto tutte le testimonianze storiche concordano col fatto che essi vennero dalla piana del Basso Sarca, attraversando il Banale e giungendo dal passo di Andalo. Prima del loro arrivo alla Rocchetta non si poteva proprio transitare se non a semplice passo d'uomo (ricordiamo qui il sentiero da Corn che porta a Spormaggiore e il sentiero che sovrappassa il Doss de la Vision dal lato opposto). Quindi fin qui niente di improbabile. Tutto regge su quanto abbiamo cercato di esporre. Per il resto, il nostro racconto si ferma agli Etruschi, che hanno disseminato l’Europa con i loro prodotti. Ma chi c’era prima al loro posto? E come utilizzava il lago di Garda e le vie che lo collegavano al resto dell’Europa? Qui non ci sovvengono più né i nostri metodi di studio né la storia che ha smesso di parlare da tempo. Gli unici che potrebbero dire qualcosa sono gli archeologi, qualora trovassero la maniera di leggere i segni che il territorio talvolta restituisce e metterli a confronto: oggi questo lavoro è possibile più che mai a seguito dell'informatizzazione dei loro archivi. E' chiaro a tutti che, quando vennero gli Etruschi, una strutturazione delle connessioni alpine in qualche maniera doveva essere in atto, forse non così sviluppata, ma qualcosa di efficiente a tratti sicuramente, perché non è pensabile che tutte le Alpi e non solo si fossero attivate e adattate improvvisamente ad accogliere gli attraversamenti carovanieri. Ci piace pensare che questi si fossero strutturati un po' alla volta, nel tempo, nelle facies culturali precedenti.
In presentazione mi ero espresso così: “Ma le cose potrebbero andare ben oltre. Werner Betzing, studioso germanico delle Alpi in senso generale, nel suo monumentale lavoro: Le Alpi, Una regione unica al centro dell'Europa, o. c., cita, senza elencarle, almeno sessanta vie dell’ambra. Erano piste mulattiere che attraversavano le Alpi e collegavano il Sud di esse con il Nord. Del resto, prodotti mediterranei quali l'ossidiana delle isole Eolie e prodotti di marcata produzione greca e greco-estrusca sono stati rinvenuti nel Mar Baltico. Per non parlare del trasporto del minerale stagno senza il quale non è possibile definire periodi preistorici che vanno dal bronzo antico al bronzo finale. Poi bisognerebbe aggiungere l’ambra del nord, oggetto di vera venerazione, materiale di scambio di oggetti provenienti da altrove; infine bisognerebbe non dimenticare il salgemma per la conservazione dei cibi, senza il quale l'uomo storico e preistorico nulla avrebbero potuto contro i rigori dell'inverno alpino.”
Ho concluso con queste parole: “Ma questa è un'altra storia della quale lascio ad altri il compito ed il piacere di approfondire." Io ho finito la mia parte. Dire che la Traversara sia più vecchia non negherebbe il metodo che ho precedentemente applicato, anzi, non farebbe che confermarlo. Dire a quando, proprio non lo so. Su questo argomento anch’io faccio spallucce, come i miei compaesani di Spormaggiore.
Mezzolombardo, 30.10.2017
POSTFAZIONE
Ho prodotto questo mio elaborato senza avere consultato altre produzioni sullo stesso tema tranne il citato testo di Enzo Leonardi. La mia speranza è che ce ne siano altri, anche se ignoro la loro esistenza. Pertanto, esso porta con sé inevitabilmente tutti i limiti del caso. Il lettore mi scuserà per le inevitabili limitazioni di una ricerca "pionieristica". Mi piace concludere parafrasando Edward James, il quale, alla fine del suo fortunato saggio I Barbari, Le vie di una civiltà, così conclude: "Si è portati a sorridere o a deridere le ingenuità o le distorsioni con cui, in passato, si è guardato ai barbari e, presto o tardi, medesima sorte toccherà anche a questo mio libro. Attendo con impazienza quel giorno: vorrà dire che avremo fatto un altro piccolo passo verso una corretta comprensione del nostro passato."
RINGRAZIAMENTI
Se questo piccolo saggio è stato possibile, ciò è dovuto a Wikipedia, che ringrazio davvero, checché se ne dica di questo infernale strumento messo a disposizione di tutti. Qui io ho potuto trovare ciò che altrimenti altrove mi sarebbe costato troppo tempo e, quindi, non avrei potuto fare nulla.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
AA.VV, Storia del Trentino, La preistoria e la protostoria, Volume 1, Il Mulino.
AA.VV, Storia del Trentino, L'età moderna, Volume 4, Il Mulino.
Betzing Werner, Le Alpi, Una regione unica al centro dell'Europa, Bollati Boringhieri.
Brogiolo Gian Piero (a cura di), APSAT 3. Paesaggi storici del Sommolago, progetto di archeologia, SAP Società Archeologica, 2013, Civica Rovereto, BT 945.385 APS.
Caniggia Gianfranco, Strutture dello spazio antropico, Alinea, 1975.
Caniggia Gianfranco, Interpreting basic building, Alinea, 2017.
Caniggia Gianfranco, Ragionamenti di tipologia. Operatività della tipologia processuale in architettura. Alinea, 1984.
Caniggia Gianfranco, Lettura di una città: Como, Alinea, 1984.
Caniggia Gianfranco, Lettura dell'edilizia di base, Alinea, 2008.
Edward James, I Barbari, Le Vie della civiltà, Il Mulino, 2009, Comunale Pieve di Bono, 940 JAM 1
Gorfer Aldo e Tutti Eugenio (a cura di), Là dove nasce il Garda, CIERRE edizioni, 1994.
Krautheimer Richard, Roma, Profilo di una città , 312-1308, Edizioni dell’elefante, 1981, Unitn, ULET 945. 632 kra.
Leonardi Enzo, Anaunia, un secolo di strade e di tranvie, Temi Editrice, Trento, 1988..
Pallottino Massimo, Etruscologia, Hoepi, Milano, VI
Sereni Emilio, Storia del paesaggio agrario italiano, anni 1950 e dintorni.



PERCORSO STORICO DELLA TRAVERSARA IN PROSSIMITA' DELLA CHIESETTA DI SAN TOMMASO PRESSO CAVEDAGO
Abbiamo già parlato nella nostra relazione del passaggio della Traversara presso la chiesetta di San Tommaso in Cavedago. La chiesa venne costruita verso la fine del secolo XIII nelle vicinanze dell'importante strada interregionale. Proviamo a descriverne il tracciato provenendo da nord. Dopo avere attraversato lo Sporeggio in località Crocifisso, in quel di Spormaggiore, la strada tende ad aumentare la propria pendenza, cercando di guadagnare quota per giungere ed attraversare il Maso Maset; successivamente questa, prima di raggiungere il maso Pozza, piega decisamente a destra in direzione della chiesetta che pare sia sorta sul pianoro ad uso specifico dei carovanieri. Prima di incrociarla, però, la strada gira a sinistra e si inoltra nel bosco, compiendo un grande giro nella selva. Ormai riorientata decisamente verso sud, essa incontra un bivio che comunque porta ad Andalo in località Priori.
Oggi, che la viabilità in quel luogo attorno alla chiesetta è stata sconvolta dal passaggio della statale per i laghi di Molveno e Tenno, sembra meno chiaro il suo compito. Pur trovando sul finire del secolo XIX nuova destinazione cimiteriale, la chiesa sta lì a testimoniare di un grande passato.
Mappa catastale levata verso gli anni 1860.