9. Catàr fortuna

Quei bimbi morti di migranti italiani. (3 luglio 2018, da "Il Corriere della Sera")

Le storie dei tanti veneti che all’inizio del Novecento partivano pieni di speranze alla volta del Brasile sono simili a quelle degli odierni emigranti.

di Gian Antonio Stella

Questa storia è esattamente la fotocopia del racconto che sempre mia madre fece quando partimmo per l'Argentina. Partimmo il 27 dicembre dell'anno 1950 con la motonave Buenos Aires, residuato bellico americano della serie Liberty, riconvertito in nave passeggeri da una compagnia di navigazione argentina di proprietà di un armatore Italiano. Io quel giorno avevo te mesi e quindici giorni: né uno in più, né uno meno. Mamma diceva che a bordo c'era anche una bimba, forse più avanti di me di due o tre mesi, più o meno come quella descritta da Gian Antonio Stella. Lei forse non era figlia di veneti, ma sicuramente fece la stessa fine dell'altra: finì in acqua anche lei, forse non di notte ma sicuramente in bocca ai pesci. Il resto del racconto è già stato scritto da Stella e non ho voglia di ripetermi. Alla faccia dei razzisti e del Rosario in mano a Salvini.
Ma la morale che ne traggo io personalmente è altra: la fragilità dei neonati sta tutta nella loro breve, brevissima esistenza. A ragion veduta, il predestinato a finire ai pesci ero proprio io, il più giovane della compagnia. Invece sono qui ad inveire contro Salvini e Di Maio "y la puta madre que…". Quest'ultimo, proprio recentemente, ha esternato la propria pietra filosofale riguardo all'emigrazione: in ricorrenza dell'anniversario di Marcinelle, altro santuario del dolore dell'emigrazione italiana, ha sostenuto che gli italiani non devono muoversi. Come se l'emigrazione fosse una scelta di gusto o di pura avventura, peggio: di "fede" e appartenenza sportiva e non, invece, di dolorosa necessità. Anche di Maio la sa lunga, tanto quanto è la sua impreparazione, inadeguatezza ed avventatezza da bullo di periferia. E' l'ignoranza della gente che mi fa paura, molto più che rischiare di finire ai pesci.

Fulvio Osti