Progetti

Il Manifesto di Fulvio Osti

Il Manifesto dei Futuristi inneggiava al "...coraggio, l'audacia, la ribellione...", dove "... un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia."

Dopo un secolo di abusi, saccheggi, sperperi e vite spericolate, ora il ventunesimo secolo si scopre fragile ed esausto. E la Terra incomincia a non farcela più.
Forse dobbiamo reinventarci un nuovo concetto di coraggio, di audacia e di ribellione. E bisognerà pure reinventare un nuovo concetto di sensibilità estetica, dove torni ad avere spazio oggi "l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno" e la Vittoria di Samotracia possa ritrovare cittadinanza in questo mondo.

Ma più che la Vittoria di Samotracia, che sta bene com'è, dov'é, è la maniera di muoverci a tutti i livelli che andrà ripensata. Bisognerà riscoprire, come scelta etica prima ancora che estetica, il leggero, il pacato, il sensibile, il delicato, l'elegante, il parco, il sobrio, il parsimonioso, il silenzioso: insomma, bisognerà camminare in punta di piedi e reimparare a sollevare meno polvere possibile e ad abbassare i toni e fare meno rumore, pur nel dinamismo che ci impongono le comunicazioni virtuali e la recentissima, inusitata mobilità delle relazioni umane e dello scambio delle merci.

Troppe ingiurie sono state perpetrate alla crosta terrestre; troppi insulti sono stati inferti al territorio, all'ambiente, al paesaggio, alle città nel nome di un'arte millenaria: l'architettura. Di questa, oggi si avverte il bisogno di ridefinirne i campi di applicazione con relativi contorni: il dove e il come.

Bisognerà riscoprire che l’architettura ha un padre, un maestro, un mentore: il Genius Loci. Ovvero lo spirito animatore del luogo, che con il proprio vissuto storico, i fattori ambientali e la morfologia del territorio, la flora e le sue variopinte risorse guida e definisce il nostro processo creativo.

Un’architettura ecologicamente ed economicamente sostenibile, di un valore estetico non consumabile nel tempo, potrà avere le proprie origini attraverso il perseguimento di queste caratteristiche unite a una combinazione di corretta valutazione del contributo della tradizione e della necessaria considerazione della tecnologia, nel leale rapporto con la modernità. Il pensiero creativo dovrà essere un tangibile ed insostituibile contributo al processo realizzativo, alfa e omega di tutta un'avventura e non -come spesso capita di vedere- ostacolo dovuto alle ideosincrasie personali spesso rivelatrici di insicurezze mai risolte. L'obiettivo dovrà essere la calma serenità delle cose prima volute, poi pensate ed infine tenacemente perseguite. Alla fine il luogo diventerà protagonista, l’edificio ne sarà il suo inevitabile tributo.

E, ultimo ma non meno importante, il progetto dell'architettura, la Grande Arte, come venne chiamata fino al secolo scorso, tanto trascurata ai nostri tempi, per noi dovrà perseguire lo scopo alto del senso civico che da sempre la ha contraddistinta, attraverso l'individuazione dei significati che ad essa sono propri nelle forme e negli spazi che le competono. Mai in essa  dovrà mancare il principio di responsabilità sociale del progettista, e l'oggetto di interesse dovrà essere tutto ciò che ruota attorno all'uomo, ai suoi valori arcani rivisti attraverso la modernità e alla sua dimensione antropologica di sintesi tra pensiero e sentimento.

UNA LETTERA SULLA FORMA IN ARCHITETTURA

(Mies van der Rohe
da Die Form, 1926)

Caro dr. Riézler,
Io non attacco la forma, ma solo la forma come fine. E l’attacco sulla base della mia esperienza. La forma come fine sfocia inevitabilmente nel formalismo. Perché si occupa solo dell’aspetto esteriore delle cose. Ma solo ciò che ha vita al suo interno può avere un esterno vivente. Solo ciò che ha una vita intensa può avere una forma intensa.

Ogni “come” è sostenuto da un “cosa”. Ciò che non ha forma non è peggiore di ciò che ha troppa forma. Il primo non è nulla, il secondo è pura apparenza. Una forma reale presuppone una vita reale. Non una vita “già stata” oppure solo “pensata”.

Questo è il nostro criterio: Noi non giudichiamo tanto il risultato quanto il processo creativo. E’ proprio questo che indica se la forma è stata trovata partendo dalla vita o per se stessa. Per questo il processo creativo è così importante. La vita è per noi ciò che decide. Nella sua totale pienezza, nelle sue relazioni materiali e spirituali.

Non è uno dei più importanti compiti del Werkbund quello di chiarire, analizzare e ordinare le nostre condizioni materiali e spirituali?
Non si deve affidare tutto il resto alle energie creative?